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‘Grana’ è una parola descrittiva e, pertanto, non tutelabile se non accompagnata dall’aggettivo ‘Padano’. Questa è la decisione del Tribunale di Torino, che, con sentenza del 17 febbraio 2023, ha ritenuto la parola ‘Grana’ un termine descrittivo, la cui tutela è data soltanto dall’associazione con l’aggettivo ‘Padano’, ribaltando in questo modo la giurisprudenza di merito sino ad ora formatasi sul punto.

‘Grana Padano’: il riconoscimento della DOP e la tutela normativa

La denominazione di origine protetta ‘Grana Padano’ trova la sua prima tutela a livello nazionale con il D.P.R. n. 1296/1955, emanato in attuazione della L. n. 125/1954, con cui è stata introdotta in Italia la disciplina delle denominazioni nazionali di origine.

La suddetta tutela è stata, poi, estesa a livello europeo con il Reg. UE n. 1107/1996, con cui la denominazione ‘Grana Padano’ è stata riconosciuta quale denominazione di origine protetta comunitaria, con conseguente applicabilità in via esclusiva del Reg. UE n. 1151/2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, con cui sono state, fra l’altro, istituite le DOP e le IGP.

Da quel momento, dunque, la DOP ‘Grana Padano’ gode di una tutela rafforzata in tutto il territorio comunitario che, ai sensi dell’art. 13 del Reg. UE n. 1151/2012, si realizza in caso di qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per designare prodotti che non sono oggetto di registrazione ovvero mediante usurpazione, imitazione o evocazione della medesima denominazione di origine. La salvaguardia della DOP ‘Grana Padano’ è stata affidata alla competenza del relativo Consorzio, in forza del decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

La vicenda

Il procedimento nasce dall’azione promossa dal Consorzio di tutela dinanzi al Tribunale di Torino nei confronti del Caseificio Fiandino, produttore del formaggio ‘Gran Riserva Italia’, al quale è stata contestata l’evocazione della DOP ‘Grana Padano’ in genere e, in particolare, della categoria ‘Riserva’ ex art. 13 del Reg. UE citato.

La vicenda trae origine dall’attività di sorveglianza svolta dagli agenti di vigilanza del Consorzio del Grana Padano, i quali, in data 27 maggio 2019, hanno rinvenuto nel punto vendita Eurospar di Milazzo (ME), un campione di formaggio a pasta dura da grattugia di Caseificio Fiandino, che, sullo scalzo, aveva impresso a fuoco un logo recante la dicitura ‘Gran Riserva Italia’.

La forma tondeggiante del logo, le caratteristiche dalla stampigliatura a fuoco del prodotto – non coperto dalla DOP ‘Grana Padano’ – nonché la similarità fonetica dei termini ‘Gran’ e ‘Riserva’ rispetto a ‘Grana Padano’ configurano, secondo il Consorzio attore, una evocazione e/o un illegittimo uso diretto o indiretto della DOP ‘Grana Padano Riserva’ ai sensi dell’art. 13 del Reg. UE citato.

Per tali ragioni, il Consorzio del Grana Padano ha adito il Tribunale di Torino, chiamato a decidere sull’evocatività dell’uso dei termini ‘Gran’ e ‘Riserva’ rispetto alla DOP ‘Grana Padano Riserva’.  

La decisione del Tribunale di Torino: il termine ‘Grana’ ha valore solo se associato a ‘Padano’

Il Tribunale torinese ha rigettato le richieste del Consorzio, escludendo qualsiasi somiglianza visiva, concettuale e fonetica tra i prodotti rispettivamente contraddistinti come ‘Gran Riserva Italia’ e ‘Grana Padano Riserva’.

In particolare, i giudici torinesi hanno rilevato che la parola ‘Gran’ utilizzata dal caseificio convenuto non è evocativa della parola ‘Grana’ “sia perché essa è un mero aggettivo riferito al sostantivo generico ‘Riserva’, sia perché essa stessa, essendo un vocabolo generico della lingua italiana, deve ritenersi liberamente utilizzabile”. Secondo il Tribunale, quindi, i vocaboli ‘Gran’ e ‘Riserva’ costituiscono rispettivamente un termine generico e di uso comune e, pertanto, sono liberamente utilizzabili per indicare prodotti caseari a pasta dura, senza che ciò costituisca una violazione della DOP ‘Grana Padano’ ex art. 13 Reg. UE citato.

Tuttavia, per quanto il suddetto principio enunciato dai giudici torinesi sia condivisibile, meno sembra esserlo quello espresso dai medesimi giudici con riferimento alla tutelabilità del termine ‘Grana’ quale componente della denominazione di origine. A tale riguardo, infatti, il Tribunale ha ritenuto non tutelabile la parola ‘Grana’ se non accompagnata dall’aggettivo ‘Padano’, “poiché è proprio nell’origine geografica che si sostanzia l’essenza e la ratio della tutela azionata”.

Per tali ragioni, secondo i giudici torinesi, la mancanza di un riferimento alla zona di origine del formaggio di parte attrice (i.e. pianura padana) sul prodotto di parte convenuta esclude la ricorrenza di un’ipotesi di evocazione della DOP ‘Grana Padano’.

In definitiva, dunque, la Sezione Specializzata del Tribunale di Torino non ha ritenuto sussistente la violazione per illecita evocazione della DOP ‘Grana Padano’ ex art. 13 Reg. UE citato, ponendosi in controtendenza rispetto all’orientamento giurisprudenziale sino ad ora formatosi in punto di genericità del termine facente parte di una denominazione di origine.

La questione esaminata dal Tribunale torinese, infatti, non è sconosciuta alla giurisprudenza di merito che, pochi mesi prima, si è già pronunciata sul punto.

Una simile questione era stata già decisa dal Tribunale di Venezia, con sentenza del 25 maggio 2022, nella causa instaurata dal Consorzio di tutela del Grana Padano nei confronti di Brazzale S.p.a., società produttrice del formaggio ‘Gran Moravia’. In tale occasione, i giudici veneziani hanno escluso la genericità del termine ‘Grana’, sostenendo che ogni tentativo di chiamare ‘Grana’ un formaggio similare costituisce un’illecita evocazione della DOP ‘Grana Padano’. In particolare, il Tribunale ha rilevato che “il termine ‘Grana’ riferito al formaggio indichi un prodotto caseario, certamente con peculiari caratteristiche produttive e di consistenza della pasta che possono essere comuni ad una più ampia gamma di formaggi, ma che precisamente riconduce ad uno specifico luogo o regione di origine, individuato nel nord Italia e, in particolare, nella pianura padana”.

Alla luce della richiamata pronuncia veneziana, pertanto, l’esito della sentenza torinese appare ancor più rilevante, rendendo a questo punto attesa, o quanto meno necessaria, la decisione dei giudici di secondo grado.