Con recente sentenza n. 179 del 29 gennaio 2021, il Tribunale di Genova ha liquidato il danno da contraffazione di una privativa varietale raddoppiando l’importo calcolato con il criterio della royalty ex art. 125 CPI.

Il caso aveva ad oggetto la illecita moltiplicazione e commercializzazione, da parte di un distributore di sementi emiliano, della nota varietà di grano tenero denominata ‘Bandera’, protetta a livello europeo dal gruppo sementiero francese RAGT e gestita dalla società francese SICASOV in qualità di mandatario.

Il Tribunale di Genova, dopo aver accertato la condotta contraffattiva, ha quantificato ex art. 125 CPI il danno da lucro cessante subito dalle attrici, applicando il criterio della royalty.

L’importo così ottenuto è stato poi raddoppiato dai giudici genovesi, accogliendo la specifica richiesta formulata dalle attrici. E ciò al fine sia di indennizzare tutte le perdite effettivamente subite dal titolare della privativa e dal suo mandatario, sia di evitare che il risarcimento risultasse in qualche misura premiale per l’autore della violazione.

Infatti, applicando il criterio della royalty ‘senza correttivi’ si corre il rischio di incentivare il contraffattore, che si ritroverebbe a pagare, molto tempo dopo l’avvio della condotta illecita e solo a seguito di un procedimento giudiziario, lo stesso importo normalmente richiesto al licenziatario.

Il principio della maggiorazione della royalty è già applicato con una certa frequenza dalla giurisprudenza italiana nei casi di contraffazione di diritti IP. Generalmente, il tasso di royalty individuato caso per caso viene aumentato di due o tre punti percentuali ovvero raddoppiato, proprio per non riconoscere al contraffattore un trattamento premiale.

La sentenza in commento si segnala per essere una delle prime pronunce ad aver esteso il suddetto principio anche in materia di contraffazione di privative varietali, avvicinandosi così al criterio delineato dall’art. 18, Reg. CE n. 1768/95. Tale disposizione – applicabile esclusivamente ai comportamenti tenuti dalle aziende agricole in violazione dei limiti imposti dal c.d. ‘privilegio dell’agricoltore’ – prevede che il risarcimento del danno dovuto al titolare “comprende per lo meno un importo forfettario pari a quattro volte l’ammontare da corrispondere per la produzione soggetta a licenza di una quantità equivalente di materiale di moltiplicazione di varietà protette delle rispettive specie vegetali nella stessa zona”.

I giudici genovesi, pur ritenendo non applicabile al caso di specie la norma europea (per il fatto che formalmente il convenuto non svolge attività agricola), hanno dimostrato particolare sensibilità per un’equa quantificazione del danno da contraffazione subito dai costitutori di nuove varietà vegetali. In tali casi, infatti, il costitutore ha difficoltà ad accertare l’entità della violazione: le vendite delle varietà protette – moltiplicate illegalmente – vengono spesso contabilizzate senza indicare la specifica denominazione della varietà, bensì con riferimenti generici (es. seme grano tenero/grano tenero da risemina), che non permettono una esatta determinazione del numero di semi o piante/frutti venduti. Tra l’altro, la contabilità delle aziende agricole si rivela, alle volte, lacunosa. Ciò rende impossibile un congruo ristoro del danno subito dal costitutore.

Si auspica, perciò, un utilizzo sempre maggiore da parte delle Corti italiane del principio del raddoppio della royalty nei casi di contraffazione di privative varietali, sperando di poter giungere anche alla piena applicazione dell’art. 18, Reg. CE n. 1768/95 (nei casi previsti dalla stessa norma).

Solo in questo modo si riuscirebbe – senza fare ricorso alla categoria dei danni punitivi, non contemplati dall’ordinamento italiano – a risarcire in modo soddisfacente i danni subiti dal costitutore/titolare di privative varietali e scoraggiare la contraffazione sempre più dilagante nel settore varietale.