La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata, a gennaio di quest’anno, sul tema della tutela dei diritti esclusivi conferiti dal marchio e, nello specifico, sull’ambito di applicazione dell’uso referenziale del marchio nel settore dei pezzi di ricambio per automobili.
I FATTI DI CAUSA
Il caso concerneva la promozione e commercializzazione di griglie per radiatori, quali pezzi di ricambio non originali per autoveicoli Audi, contenenti un elemento progettato per il fissaggio dell’emblema di Audi la cui forma riproduceva il marchio figurativo di titolarità di Audi stessa.
Lamentando la riproduzione del proprio marchio figurativo su pezzi di ricambio non originali, Audi conveniva in giudizio il venditore delle suddette griglie per radiatori affinché il Tribunale regionale di Varsavia inter alia vietasse la loro pubblicazione, importazione, offerta in vendita e commercializzazione.
Nel contesto di tale procedimento venivano sottoposte alla Corte di Giustizia alcune domande pregiudiziali vertenti sull’estensione del diritto conferito al titolare di un marchio dell’Unione europea di vietare a terzi che operano nel settore dei pezzi di ricambio l’uso nel commercio di un segno identico o simile al proprio marchio.
L’INTERPRETAZIONE DELLA NORMATIVA RILEVANTE OFFERTA DALLA CORTE DI GIUSTIZIA
Ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento 2017/1001 (infra, anche solo RMUE), il titolare di un marchio dell’Unione europea gode del diritto esclusivo di vietare a terzi l’uso nel commercio (i) di qualsiasi segno identico al proprio marchio in relazione a prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato, (ii) di un segno che, a motivo della sua identità o somiglianza con il marchio e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti da tale marchio e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, (iii) nonché di un segno identico o simile al marchio, anche per prodotti o servizi non simili a quelli coperti da registrazione, se il marchio gode di notorietà nell’Unione e l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio oppure rechi pregiudizio agli stessi.[1]
Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, il suddetto diritto può essere esercitato ove il terzo faccia uso del segno “nel commercio”, vale a dire nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico[2] , e ove tale uso pregiudichi o possa pregiudicare una o più funzioni del marchio (tra le quali sono annoverate la funzione essenziale di garantire l’identità di origine del prodotto o servizio, la funzione di garanzia della qualità del prodotto o servizio e le funzioni di comunicazione, investimento e pubblicità).
La Corte di Giustizia rileva che nel corso del procedimento a quo è stato accertato (i) che le griglie per radiatori non sono prodotti provenienti dal titolare del marchio e non sono state immesse nel commercio con il suo consenso, (ii) che la forma dell’elemento progettato per il fissaggio dell’emblema di Audi è identica o simile al marchio figurativo di Audi e (iii) che la sua apposizione sulle griglie per radiatori ai fini della loro commercializzazione rappresenta un uso nel commercio del segno.
La Corte prosegue poi la propria analisi constatando che l’elemento per il fissaggio dell’emblema, riproduttivo del marchio di Audi, è collocato sulla griglia per radiatori in modo tale che, fino a quando l’emblema di Audi non è fissato, il segno identico o simile a tale marchio è visibile per il pubblico di riferimento. A parere della Corte, “un fatto del genere è tale da concretizzare l’esistenza di un collegamento materiale tra questo stesso pezzo, che un terzo importa, pubblicizza e propone in vendita, e il titolare del marchio AUDI”.[3]
Ciò detto, nel settore della produzione e commercializzazione dei pezzi di ricambio, occorre conciliare l’interesse alla tutela dei diritti di proprietà industriale (incluso quello di marchio) con la necessità di preservare una concorrenza non falsata tra costruttori di autoveicoli e venditori di pezzi di ricambio non originali, nonché con l’interesse dei consumatori a poter scegliere tra l’acquisto di pezzi di ricambio originali e l’acquisto di pezzi non originali.
Nella legislazione in tema di disegni e modelli, questa esigenza di bilanciamento tra opposti interessi ha tra l’altro portato all’introduzione della cosiddetta clausola di riparazione di cui all’art. 110 del Regolamento 6/2002[4], in virtù della quale è esclusa la protezione quale disegno o modello comunitario per un disegno o modello che costituisca una componente di un prodotto complesso utilizzato allo scopo di consentire la riparazione di tale prodotto complesso al fine di ripristinarne l’aspetto originario. L’ambito di applicazione della suddetta clausola è tuttavia limitato ai soli disegni o modelli comunitari, non contemplando il Regolamento 2017/1001 sul marchio dell’Unione europea alcuna disposizione analoga al suddetto art. 110 ed essendone esclusa l’applicazione per analogia al diritto dei marchi.[5]
Tuttavia, pur ribadendo il principio della stretta applicabilità della clausola di riparazione ai soli disegni o modelli, la Corte di Giustizia chiarisce che ciò non esclude che l’obiettivo di preservare una concorrenza non falsata trovi riconoscimento anche nel settore dei marchi. Rileva a tal fine, per esempio, l’art. 14 RMUE che, in specifiche situazioni ivi espressamente indicate, limita il diritto del titolare di un marchio dell’Unione europea di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile a detto marchio.
Tra le circostanze contemplate dall’art. 14 RMUE viene menzionato anche il cosiddetto uso referenziale del marchio, vale a dire l’uso in commercio del marchio per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi propri del titolare di tale marchio, specie se tale uso è necessario per contraddistinguere la loro destinazione, in particolare come accessori o pezzi di ricambio (cfr. art. 14, par. 1, lett. c) RMUE). Legittimare l’uso del marchio a fini referenziali significa consentire ai fornitori di prodotti o di servizi complementari a quelli offerti dal titolare di un marchio di utilizzare tale marchio al fine di informare, in modo comprensibile e completo, il pubblico sulla destinazione del prodotto commercializzato o del servizio offerto e quindi “sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o i loro servizi e quelli del suddetto titolare del marchio”.[6]
Ciò premesso, occorre quindi stabilire se l’uso del marchio di Audi sulle griglie per radiatori oggetto del procedimento a quo possa o meno qualificarsi come uso referenziale del marchio altrui.
A parere della Corte di Giustizia, l’uso del marchio figurativo di Audi oggetto del procedimento a quo non può qualificarsi alla stregua di un uso referenziale del marchio, in quanto la scelta della forma dell’elemento progettato per il fissaggio dell’emblema di Audi è guidata dalla volontà di commercializzare una griglia per radiatori che riproduca il più fedelmente possibile quella originale, non dalla necessità reale di contraddistinguere la destinazione del pezzo di ricambio.
In altre parole, l’apposizione sui pezzi di ricambio di un segno che riproduce il marchio figurativo di Audi eccede l’uso a scopo di riferimento nella misura in cui non è finalizzata ad informare i consumatori che detti pezzi di ricambio sono destinati ad essere integrati nei prodotti di Audi. Ed è assolutamente irrilevante che oggetto del presente procedimento sia un elemento di un pezzo di ricambio per autoveicoli, poiché il Regolamento 2017/1001, al contrario della disciplina sul disegno o modello comunitario, non opera alcuna distinzione in base al settore merceologico di riferimento.
CONCLUSIONE
In conclusione, nella misura in cui l’uso di un marchio dell’Unione europea di titolarità altrui non persegue una funzione strettamente identificativa della reale destinazione del prodotto o servizio (unico interesse che trova tutela nell’art. 14, par. 1, lett. c) RMUE), il titolare di tale marchio potrà legittimamente vietare a terzi l’uso nel commercio di un segno identico o simile al proprio marchio, anche ove essi operino nel settore dei pezzi di ricambio.
[1] Cfr. sentenza del 2 aprile 2020, Coty Germany, C‑567/18, EU:C:2020:267, punto 31.
[2] Cfr. sentenza del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club, C‑206/01, punto 40; sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 50.
[3] Cit. par. 40 della sentenza in commento, 25 gennaio 2024, Audi, C-334/22, EU:C:2024:76.
[4] Regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio, del 12 dicembre 2001, su disegni e modelli comunitari.
[5] Cfr. ordinanza del 6 ottobre 2015, Ford Motor Company, C‑500/14, EU:C:2015:680, punti 39, 41 e 42.
[6] Cit. punto 54 della sentenza di commento. Sul punto si vedano anche: sentenza del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland, C‑228/03, EU:C:2005:177, punti 33 e 34; sentenza dell’11 gennaio 2024, Inditex, C‑361/22, EU:C:2024:17, punto 51.