Gli influencer indirizzano le decisioni dei consumatori e sono in grado di catalizzare le tendenze di acquisto tanto da polverizzare la disponibilità dei prodotti sponsorizzati in una manciata di minuti. Va da sé che l’affidamento che il pubblico – e, in particolare, il pubblico giovanissimo appartenente alla Gen Z – ripone in tali soggetti ha reso necessario delineare il quadro normativo e sanzionatorio a cui sottoporre gli influencer.

Ma, prima di tutto, chi sono gli influencer?

Per dare una definizione di influencer occorre far riferimento all’intervento del gennaio 2024 dell’Autorità nazionale per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”). A livello sovranazionale, del tema si è interessata la Commissione sul mercato interno e sulla protezione dei consumatori (“IMCO”) del Parlamento europeo.

La definizione elaborata è per alcuni tratti condivisa. L’influencer è un soggetto che svolge un’attività economica con un fine di monetizzazione e che, secondo l’AGCOM, esercita una responsabilità editoriale sui contenuti che pubblica. Inoltre, secondo l’IMCO, con il proprio pubblico l’influencer costruisce una relazione di fiducia, basata sull’autenticità.

Le Linee Guida adottate nel gennaio 2024 rappresentano la prima tappa dell’iniziativa promossa nel luglio 2023 dall’AGCOM per tracciare l’insieme di norme applicabili agli influencer operanti in Italia. A tali Linee Guida seguirà la redazione di veri e propri codici di disciplina.

Nell’attesa, l’AGCOM ha ritenuto immediatamente applicabili agli influencer, in quanto veicolatori di contenuti audiovisivi,alcune disposizioni del T.U. sui servizi di media audiovisivi (anche detto “TUSMA”). Tuttavia, le norme del TUSMA individuate dall’AGCOM si applicano solo agli influencer che soddisfano certi requisiti quanto al numero di follower da cui sono seguiti su tutte le piattaforme e social media su cui essi operano, alla quantità di post pubblicati nell’anno precedente e al valore di engagement rate medio ottenuto negli ultimi 6 mesi (con l’eccezione degli artt. 41 e 42 del TUSMA, volti alla tutela di minori e consumatori, alla lotta all’incitamento all’odio e alla violazione della dignità umana, validi per tutti i creatori di contenuti).

Tra le disposizioni del TUSMA ritenute da subito applicabili agli influencer vi è l’obbligo di assicurare il rispetto del diritto d’autore nonché dei diritti ad esso connessi. In ogni caso, l’influencer è, anche a prescindere dal TUSMA, tenuto ad osservare le norme che regolano la proprietà intellettuale contenute nel codice della proprietà industriale e dalla legge sul diritto d’autore.

In questo contesto si inseriscono la dupe culture e il deinfluencing. I nuovi fenomeni risultano essere popolari soprattutto tra la Gen Z, la fascia di popolazione che maggiormente interagisce con il mondo online e che ripone più fiducia negli influencer che nei tradizionali canali di acquisto e di informazione. Inoltre, la Gen Z è maggiormente esposta alla contraffazione, in passato confinata ad un mondo fisico periferico.

Il termine dupe, abbreviazione di duplicate, a cui è sotteso anche il doppio significato di “inganno”, indica un prodotto che non nasconde di voler imitare l’articolo di riferimento originale. Il dupe viene presentato come un’alternativa economica, ma altro non è che una copia, che, come tale, si espone al rischio di integrare gli estremi della contraffazione dei diritti di marchio o di design, nonché dell’illecito civilistico della concorrenza sleale. Sono state recentemente registrate le prime decisioni in materia di dupe da parte della Corte d’Appello di Parigi. In un caso in cui un noto brand fast fashion aveva commercializzato un’ampia gamma di accessori e gioielli low cost imitativi dei modelli di una rinomata maison francese e, per di più, sempre nell’immediatezza del lancio degli originali, la Corte francese ha accertato la sussistenza di una condotta sleale parassitaria, dato il manifesto intento di voler sfruttare gli investimenti e la reputazione dei prodotti altrui (Celine c. Mango, C. App. Parigi, 10 novembre 2023, RG 21/19126).

Se di tali illeciti è sicuramente chiamato a rispondere il produttore di dupe, non è tuttavia da escludere che anche l’attività di promozione svolta dall’influencer possa essere sanzionata, a maggior ragione nei casi in cui la sponsorizzazione del prodotto avvenga in affiliazione col produttore e l’influencer ottenga una remunerazione. L’uso illecito potrebbe comunque dirsi perseguito anche nei casi in cui l’influencer agisca in autonomia, ossia col solo fine di accrescere la propria visibilità agli occhi del brand ed il proprio posizionamento sulla piattaforma per procacciare future collaborazioni.

Il deinfluencing, invece, consiste nella pratica di sconsigliare l’acquisto di un determinato prodotto, perché, ad esempio, ritenuto privo di pregi che ne giustifichino il prezzo.

Tale comportamento potrebbe integrare gli estremi di una pratica commerciale scorretta e, in particolare, della violazione delle norme poste a tutela pubblicità comparativa e ingannevole. Non solo: potrebbe addirittura riconoscersi una condotta anticoncorrenziale ove l’iniziativa di sconsigliare il prodotto fosse caldeggiata dai concorrenti del brand sconsigliato e potesse delinearsi un rapporto di concorrenza anche con l’influencer. Questo tipo di condotta potrebbe tuttavia essere più difficile da sanzionare in quanto il deinfluencing rientra nella libertà di manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita.

L’influencer è diventato quindi un intermediario che il brand potrebbe iniziare a valutare di voler colpire (come, ad esempio, ha fatto Amazon nei confronti di due creatrici di contenuti nel novembre 2020), soprattutto considerato che i produttori di dupe risiedono usualmente in altre giurisdizioni.