Il 19 febbraio 2011 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 4 del 2011 recante disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti agroalimentari. Al fine di migliorare la qualità e la sicurezza degli alimenti, il nuovo testo opta per un’informazione più completa ai consumatori circa la reale provenienza dei prodotti. All’art. 4 comma 1, è previsto che tutti i prodotti alimentari debbano recare l’indicazione del luogo di origine o di provenienza. Al successivo comma 2 è operata una distinzione tra prodotti alimentari non trasformati, per i quali l’indicazione del luogo di origine o di provenienza coincide con il Paese di produzione dei prodotti, e prodotti trasformati, per i quali l’obbligo di indicazione del luogo di origine o di provenienza è soddisfatto mediante l’indicazione del luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale oltre che del luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti. La parte più significativa della nuova legge è senza dubbio quella relativa ai prodotti alimentari trasformati. L’obbligo di indicare il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale non dovrebbe presentare grosse difficoltà: la norma infatti adotta un wording già utilizzato nel codice doganale comunitario e più precisamente agli articoli 23 e 24 del Regolamento 2913/1992/CE, in cui si fa riferimento al “paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”. Diversamente, l’obbligo di indicare la provenienza della “materia prima prevalente” potrebbe non essere banale. È verosimile infatti che, nelle filiere produttive facenti capo ai grandi gruppi alimentari e non solo, gli approvvigionamenti di materia prima per la preparazione dei prodotti “trasformati” (la pasta, per esempio) abbiano origine diversa. Per esempio, visto che l’Italia attualmente importa dall’estero il 56% del fabbisogno di grano duro potrebbe essere che in una stessa partita di confezioni di pasta alimentare confluiscano confezioni che, in quanto prodotte con grano duro proveniente da Paesi differenti, dovranno indicare origini diverse e, quindi, etichette diverse. È degno di nota, tuttavia, che il comma 3 dell’art. 4 della legge rimette ai decreti attuativi (ancora in corso di approvazione) la definizione delle modalità con cui adempiere all’obbligo di indicazione obbligatoria dell’origine dei prodotti. Al momento quindi la parte più contestata della nuova legge non ha effetti pratici. Peraltro, non è da escludere che i decreti attuativi ci mettano moltissimo ad essere adottati. Allo stato attuale, quindi, non esiste un obbligo generalizzato di indicazione dell’origine o provenienza dei prodotti alimentari. Ciò fatte salve, ovviamente, le leggi speciali. Per esempio, l’obbligo esiste con riferimento a prodotti ortofrutticoli, carni avicole, carni bovine, miele, uova, latte fresco, prodotti della pesca. Esistono poi norme che consentono, su determinati prodotti, il riferimento al luogo di origine geografica solo in caso di rispetto di determinate condizioni (oli di oliva vergini e prodotti che possono fregiarsi di dop o igp). Al di fuori di questi casi, la legge stabilisce che “i prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore devono riportare (…) il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto” in base a quanto disposto dall’articolo 3 d. lgs. 109/1992”. Un interessante approfondimento sulla tematica si trova sul numero di marzo di FOOD.