Con decisione del 29 gennaio 2020 (causa C‑371/18), la Corte di Giustizia ha stabilito che un marchio che rivendichi prodotti e servizi “ampi” (come ad esempio “software per computer”) non può essere dichiarato totalmente o parzialmente nullo ed ha anche chiarito e limitato le circostanze per cui un marchio possa essere dichiarato nullo per malafede del richiedente al momento del deposito.

Il caso

La Corte si è infatti pronunciata sulla controversia tra Sky, nota emittente televisiva a pagamento, e SkyKick, fornitore di servizi cloud. Sky aveva citato Skykick per vedere accertata la contraffazione dei suoi marchi, mentre SkyKick, respingendo l’accusa di contraffazione, aveva richiesto in via riconvenzionale che i marchi di Sky venissero dichiarati in tutto o in parte nulli a causa della mancanza di chiarezza e precisione nelle specificazioni di prodotti e servizi, nonché in quanto le domande erano state presentate in malafede. Secondo SkyKick, i marchi di Sky erano stati registrati per un gran numero di classi, tra cui rientravano prodotti e servizi estranei all’attività della società di comunicazioni Sky, quali ad esempio “fruste”, “preparati per sbiancare” o “cure di bellezza per animali”. Secondo la prospettazione di Skykick, Sky aveva quindi registrato tali marchi solo per impedire a società concorrenti di entrare sul mercato, il che avrebbe costituito malafede. Inoltre, alcune voci indicate nell’elenco dei prodotti dei marchi Sky erano troppo generiche e indefinite, come ad esempio i “software per computer”. L’estesa protezione che ne derivava sarebbe stata contraria all’ordine pubblico.

 

La pronuncia della Corte

La Corte di Giustizia è stata così chiamata a chiarire le seguenti questioni sollevate dalla High Court of Justice (England and Wales):

  1. può un marchio essere dichiarato totalmente o parzialmente nullo per avere una specificazione di prodotti e servizi non sufficientemente chiara e precisa, essendo registrato, ad esempio, per termini ampi come “software per computer”?
  2. può un marchio essere dichiarato nullo per malafede se il richiedente non ha intenzione di utilizzarlo per alcuni dei prodotti e servizi specificati?

In risposta a tali quesiti, la sentenza della Corte in esame ha definito una serie di punti favorevoli ai titolari dei marchi europei, rigettando le posizioni di SkyKick:

  • La Corte ha confermato che le registrazioni di marchi contenenti termini ampi quali “software per computer”, “servizi finanziari” o “servizi di telecomunicazione” non possono essere dichiarate totalmente o parzialmente nulle a causa di una presunta mancanza di chiarezza e precisione di tali termini, in quanto la normativa comunitaria non prevede tale specifico motivo di nullità.
  • La Corte ha affermato che non può essere considerata contraria all’ordine pubblico l’inclusione di termini ampi, non chiari e precisi nelle specifiche del marchio in quanto la nozione di “ordine pubblico” non può essere intesa come riferita a caratteristiche relative alla domanda di registrazione stessa indipendentemente dalle caratteristiche del segno di cui si chiede la registrazione come marchio.
  • La Corte ha poi confermato che vi è malafede del richiedente che registri un marchio senza alcuna intenzione di utilizzarlo in relazione ai prodotti e servizi rivendicati, ma solo se sussistono indizi oggettivi, rilevanti e concordanti volti a dimostrare che, alla data di deposito della domanda di registrazione del marchio interessato, il richiedente aveva l’intenzione o (i) di pregiudicare gli interessi di terzi in modo non conforme alla correttezza professionale o (ii) di ottenere, senza neppure mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio.
  • La Corte ha inoltre stabilito che la malafede del richiedente un marchio non può essere presunta sulla base della mera circostanza che, al momento del deposito della sua domanda di registrazione, il richiedente non aveva un’attività economica corrispondente ai prodotti e servizi rivendicati nella domanda. Secondo la Corte, infatti, il richiedente un marchio non è tenuto ad indicare o conoscere con precisione alla data di deposito della propria domanda di registrazione o dell’esame della stessa, l’uso che farà del marchio richiesto dato che dispone di un termine di cinque anni per dare inizio ad un uso effettivo del marchio.
  • È importante sottolineare che la CGUE ha infine chiarito che qualora la mancanza di intenzione di utilizzare il marchio conformemente alle funzioni essenziali di un marchio riguardi soltanto taluni prodotti o servizi oggetto della domanda di marchio, tale domanda costituisce un atto di malafede solo nella parte in cui riguarda i suddetti prodotti o servizi ed il marchio sarà nullo solo per quei prodotti e servizi e non per l’intera registrazione.

 

Implicazioni pratiche e conclusioni

La Corte ha dunque esaminato alcuni aspetti di notevole rilevanza per i titolari di marchi europei, considerato che è prassi comune nell’Unione utilizzare termini e specifiche di ampia portata per ottenere la maggiore copertura possibile per le classi di prodotti e servizi di interesse. Questa pratica inizialmente incoraggiata dall’EUIPO, è stata poi messa in discussione dal precedente della Corte “IP Translator” che ha disposto che l’uso dei titoli delle classi di Nizza non deve più essere considerato come una rivendicazione per tutti i prodotti e servizi rientranti in quella determinata classe di Nizza.

Alla luce di quanto deciso dalla Corte nel caso in esame, i titolari dei marchi europei non saranno tenuti a limitare l’elenco di prodotti e servizi solo rispetto a quelli che effettivamente offriranno sul mercato. Tuttavia, è opportuno che i titolari considerino che in futuro un elenco di prodotti e servizi ampio e vago potrebbe essere valutato in modo più rigoroso dall’EUIPO e dagli uffici nazionali, in particolare nel caso di domande depositate a fini difensivi senza che vi sia una reale intenzione di usare il marchio per determinati prodotti e servizi rivendicati.