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Lo scorso 2 febbraio 2015 la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 1861 è tornata a parlare di  secondary meaning, che, come è noto, consente ad un marchio descrittivo – la cui validità sarebbe esclusa per difetto di capacità distintiva ex art. 13, co. 1 , D.Lgs. n. 30 del 2005 – di diventare valido quando per effetto del suo uso sul mercato acquista una propria distintività. E ciò in quanto il predetto uso consente al marchio descrittivo di aggiungere al significato generico (i.e. descrittivo) del prodotto e/o del servizio che con esso viene contraddistinto un secondo significato di identificazione dei beni e dei servizi dell’impresa. 

Ripercorriamo brevemente i fatti di causa di cui è stata investita la Suprema Corte.

La nota società italiana Natuzzi, produttrice di divani e poltrone, titolare del marchio nazionale e comunitario “Divani & Divani” famoso a livello internazionale, conveniva in giudizio la società Divini & Divani, operante nello stesso settore merceologico, affinché il Tribunale adito (nella specie il Tribunale di Bari) inibisse, tra l’altro, a quest’ultima l’uso del marchio omonimo, lamentandone la confondibilità con il proprio.

La domanda della società Natuzzi veniva accolta in primo grado e successivamente rigettata dalla Corte di Appello di Bari. In particolare la Corte territoriale riteneva che i) il marchio “Divani & Divani” fosse un marchio debole in quanto costituito da una parola di uso comune; ii) la ripetizione della parola “Divani” intervallata dalla “e” commerciale non potesse costituire requisito di originalità; iii) la diffusione commerciale e pubblicitaria del marchio “Divani & Divani non potesse trasformare quest’ultimo da debole a forte e pertanto meritevole della tutela più rigorosa riservata al marchio forte.

Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte di Cassazione ha riesaminato la decisione impugnata, ribaltandola completamente con conclusioni che meritano alcune riflessioni.

In particolare, la Suprema Corte afferma che anche un marchio debole è meritevole di tutela qualora un marchio registrato successivamente presenti delle varianti meramente formali, non idonee ad escludere il rischio di confusione con l’aspetto caratterizzante del marchio registrato precedentemente.

Nel caso di specie, “Divini & Divani”, a parere dei giudici di legittimità, di certo non può considerarsi un marchio costituito da elementi sufficientemente idonei ad escludere la confondibilità con il noto marchio “Divani & Divani”. E ciò sia a livello fonetico che visivo.

Ed infatti, sempre a parere della Suprema Corte, i giudici di merito hanno errato proprio perché hanno omesso di esaminare nel complesso gli elementi più importanti dei due marchi, negando la tutela al marchio “Divani & Divani” per il solo fatto che trattandosi di marchio debole, sarebbe stata necessaria ai fini della sua tutela dalla contraffazione, un’imitazione integrale (e non parziale) da parte della società Divini & Divani.

La contestazione della Suprema Corte in punto è condivisibile per quanto già detto ed in considerazione del fatto che ormai è un principio consolidato quello secondo cui l’imitazione di un marchio debole è consentita purché il marchio successivamente registrato si contraddistingua dal precedente con elementi che, seppur minimi, siano sufficienti a differenziarlo ed a evitare il rischio di confondibilità (ex multis Cass. Civile 3 dicembre 2012, n. 21601).

I giudici di legittimità, inoltre, evidenziano che la Corte territoriale ha escluso la possibilità per un marchio originariamente debole di divenire forte ad opera della sua diffusione commerciale e pubblicitaria. Un’esclusione che a parere della Suprema Corte è in contrasto con il fenomeno da tempo riconosciuto del secondary meaning. In particolare i giudici di legittimità affermano che “tale fenomeno elaborato ai fini della c.d. riabilitazione o convalidazione del segno originariamente privo di capacità distintiva, giacché mancante di originalità ovvero generico o descrittivo e che, tuttavia, finisce con il riceverla dall’uso che ne viene fatto nel mercato […], è stato utilizzato per cogliere ogni evoluzione della capacità distintiva, cioé anche come rafforzamento della capacità distintiva del marchio in origine debole (ma non nullo) che divenga successivamente forte attraverso la diffusione, la propaganda e la pubblicità […]”

In punto appare molto interessante il ragionamento seguito dalla Suprema Corte che ha riconosciuto il secondary meaning rilevante da un lato i) ai fini dell’acquisto della capacità distintiva da parte di un marchio originariamente sprovvisto e quindi nullo, dall’altro ii) ai fini del rafforzamento della capacità distintiva di un marchio originariamente debole (ma non nullo) che per effetto della diffusione commerciale e pubblicitaria da parte della società titolare del marchio stesso e dalla conseguente penetrazione dello stesso sul mercato di riferimento si trasforma in un marchio forte e quindi meritevole di una tutela rafforzata.

In sostanza il secondary meaninig dà luogo i) nel primo caso ad una sorta di convalidazione del marchio originariamente privo di capacità distintiva dovuta all’uso del marchio stesso sul mercato e ii) nel secondo caso alla equiparazione della tutela di un marchio originariamente forte a quella di un marchio in principio debole, ma che, è diventato forte per effetto della diffusione commerciale e pubblicitaria.

Ovviamente, anche se si parla di convalidazione, si tratterebbe, in ogni caso di un’ipotesi di convalidazione diversa da quella disciplinata dall’art. 28 D.Lgs. n. 30 del 2005. Ed infatti nel caso di cui all’art. 28 succitato si fa riferimento all’uso di un marchio posteriore registrato in buona fede, uguale o simile ad un marchio precedente, che se tollerato dal titolare di quest’ultimo per cinque anni consecutivi, non potrà portare ad alcuna dichiarazione di nullità del marchio posteriore stesso. E’ evidente che qui la ratio è quella di tutelare l’affidamento del titolare del marchio posteriore in buona fede e di evitare comportamenti strumentali da parte del titolare del marchio anteriore che, potrebbe, volutamente lasciar passare un certo lasso di tempo prima di attivarsi per far dichiarare nullo il marchio posteriore al solo fine di approfittare indebitamente dell’avviamento nel frattempo acquisito dal segno. Mentre la ratio che trae origine dal secondary meaning, come sopra già evidenziato, è quella di equiparare la tutela di un marchio forte sin dal principio a quella di un marchio originariamente debole, ma che per effetto della pubblicità e della sua affermazione sul mercato, è diventato forte.

Proprio questo iter logico-giuridico ha portato la Suprema Corte a cassare la sentenza impugnata rinviando il giudizio alla Corte di Appello di Bari, che dovrà attenersi ai principi espressi nella decisione qui esaminata.