Si riaccende il dibattito sulla brevettabilità delle piante e l’Ufficio europeo dei brevetti con parere (G 3/19)  dello scorso 14 maggio reso dalla Commissione Allargata di Ricorso abbandona la sua precedente posizione e  stabilisce la non brevettabilità delle piante ottenute esclusivamente da un procedimento essenzialmente biologico.

Questo cambio di rotta mira a risolvere l’impasse venutosi a creare tra quanto deciso nei procedimenti G2/12 e G2/13, ( meglio noti come “Tomato II” e “Broccoli II”), in cui la stessa Commissione Allargata di Ricorso aveva stabilito la brevettabilità delle piante ottenute esclusivamente da un procedimento essenzialmente biologico, da un lato, e la previsione contraria contenuta nella Regola 28 paragrafo 2 della CBE (modificata successivamente alle ridette decisioni), dall’altro.

Va detto che si considera “essenzialmente biologico” un procedimento convenzionale di selezione non diverso da quanto può naturalmente accadere in natura trattandosi di un metodo mediante il quale normalmente viene sviluppata una nuova varietà vegetale attraverso la selezione e l’incrocio.

Tanto i procedimenti essenzialmente biologici quanto le nuove varietà vegetali sono espressamente esclusi dalla brevettabilità a norma dell’art. 53, lett. b), CBE. Tuttavia, stando all’interpretazione restrittiva di tale norma inizialmente resa dalla Commissione Allargata di Ricorso dell’EPO proprio nelle decisioni “Tomato II” e“Broccoli II”, la brevettabilità è stata invece riconosciuta alle piante ottenute da un procedimento essenzialmente biologico.

Alla medesima conclusione si è giunti anche nel caso T 1063/18 in cui la Commissione di ricorso dell’EPO ha ritenuto brevettabile una nuova pianta di peperoncino ottenuta mediante un procedimento essenzialmente biologico, sostenendo che nel conflitto tra la previsione normativa dell’art. 53, lett. b), CBE così come restrittivamente interpretata dalla Commissione Allargata di Ricorso e la Regola 28 della CBE prevale la prima.

Il contrasto normativo pare dunque adesso risolto con il recente parere (G 3/19) con cui, come detto, la  Commissione Allargata di Ricorso ha abbandonato la sua precedente interpretazione dell’art. 53 lett. b), CBE sostenendo, in linea con quanto dispone la Regola 28, la non brevettabilità delle piante ottenute da un procedimento essenzialmente biologico e precisando altresì che la diversa posizione assunta non ha effetto retroattivo con la conseguenza che le decisioni prese nei casi “Tomato II” e “Broccoli II” rimangono salve.

Possono farsi alcune brevi considerazioni per spiegare perché le piante ottenute da un procedimento essenzialmente biologico siano ritenute non brevettabili.

A livello europeo, ma anche a livello italiano, il titolo di proprietà intellettuale sulle nuove varietà vegetali ottenute mediante un’attività di breeding convenzionale quale può essere anche un procedimento essenzialmente biologico non è propriamente il brevetto per invenzione industriale bensì la privativa varietale istituita con il Regolamento CE n. 2100/94 e definita come un brevetto sui generis poiché si colloca al di fuori della disciplina sui brevetti per le invenzioni industriali e biotecnologiche.

Una lettura sistematica delle norme sui brevetti per invenzione e di quelle sulle privative varietali conferma la distinzione tra i due livelli di tutela che perciò non sono tra loro del tutto sovrapponibili.

Innanzitutto, la distinzione si spiega per effetto della norma sulla c.d. breeders’ exemption che pone una serie di eccezioni al diritto esclusivo del costitutore di una varietà vegetale.

L’eccezione che caratterizza il diritto di privativa varietale e che allo stesso tempo più demarca il confine con il brevetto consiste nel libero accesso da parte di terzi alle varietà protette nell’intento di costituire nuove e distinte varietà e di sfruttarle commercialmente.

Si tratta di un’ipotesi distinta dalla c.d. “esenzione sperimentale” tipica anche del sistema brevettuale e che, come si sa, legittima l’attività di sperimentazione avente ad oggetto un’invenzione brevettata al fine tanto di testare gli effetti di un prodotto o di un processo descritto nel brevetto, quanto nel ricercare nuove applicazioni del trovato protetto.

La distinzione tra privativa varietale e brevetto d’invenzione industriale viene poi confermata anche in riferimento al diverso modo con cui solitamente viene valutata la novità che, come è noto, rappresenta uno dei requisiti essenziali di protezione tanto per le privative varietali, quanto per i brevetti d’invenzione. In pratica mentre un’invenzione industriale è nuova solo laddove essa stessa non sia divulgata (i.e. descritta o esposta) al pubblico da parte dello stesso inventore prima del deposito della domanda di brevetto, una varietà vegetale invece è nuova solo quando alla data di deposito della domanda di privativa il materiale vegetale non sia stato commercializzato.

Con l’esclusione dalla brevettabilità delle nuove varietà vegetali si tende a garantire il libero accesso al materiale vegetale di moltiplicazione per finalità di ricerca e favorisce lo sviluppo in campo agricolo. Questa soluzione risulta in linea anche con le finalità del Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione.