Thumbnail image for astrazeneca-licenziamenti.jpgNel solito superlavoro di fine anno, quasi ci dimenticavamo di dare atto della decisione con cui la Corte di Giustizia ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale Generale nel caso AstraZeneca e, di conseguenza, la correttezza dell’iniziale decisione della Commissione (le decisioni di Corte di Giustizia, Tribunale Generale e Commissione sono disponibili rispettivamente qui, qui e qui).

Oltre che per l’ammontare della sanzione (ben 53 milioni di Euro), il caso AstraZeneca è di estremo interesse per aver definitivamente confermato alcuni obblighi che gravano su tutte le imprese in posizione dominante che si interfacciano con gli uffici brevetti. E’ infatti oggi diritto dell’Unione che un’impresa dominante può violare quella speciale responsabilità che grava su di essa laddove comunichi alle autorità pubbliche preposte alla concessione di diritti esclusivi informazioni ingannevoli idonee ad indurle in errore ed a permettere, di conseguenza, il rilascio di diritti esclusivi cui l’impresa in questione non avrebbe diritto. 

Come noto, la condotta di AstraZeneca ritenuta abusiva era consistita nell’aver comunicato ad alcuni uffici brevetti nazionali, come data corrispondente a quella della prima autorizzazione all’immissione in commercio nel territorio europeo, una data successiva a quella della prima autorizzazione all’immissione in commercio ottenuta in Francia per il farmaco in questione (ossia il Losec, il farmaco branded di AstraZeneca a base di omeprazolo). Tale comunicazione non era stata rettificata neppure successivamente, nonostante AstraZeneca avesse ricevuto richieste di chiarimenti da parte di alcuni uffici brevetti. Su tali basi AstraZeneca aveva quindi ottenuto certificati complementari di protezione per l’omeprazolo che – come ritenuto dalla Commissione – i competenti uffici brevetti non avrebbero rilasciato se avessero saputo dell’esistenza della precedente autorizzazione all’immissione in commercio francese.

Oltre a confermare l’illiceità di tale condotta, la Corte di Giustizia ha anche opportunamente circoscritto la portata di alcuni passaggi della decisione del Tribunale Generale che si potevano prestare a interpretazioni eccessivamente estensive. La Corte ha in particolare espressamente affermato (v. ad es. il paragrafo 99) che la semplice comunicazione di informazioni inesatte non è sufficiente ad ingenerare una responsabilità antitrust. E’ necessario un quid pluris, che nel caso AstraZeneca era consistito nella piena consapevolezza della comunicazione ingannevole e nella sua reiterazione.

Il problema sarà ovviamente quello di dare contenuto al test della Corte in tutti quei casi in cui non si ha una vera e propria comunicazione ingannevole da parte dell’impresa dominante, ma piuttosto un’omissione informativa volta ad evitare di svelare informazioni note all’impresa che, se rivelate, impedirebbero il rilascio del diritto esclusivo. Per fare qualche esempio nel campo dei brevetti, si pensi a predivulgazioni o a documenti di prior art noti al richiedente che quest’ultimo non ha comunicato all’ufficio brevetti.  Quale possa essere la soluzione in casi di questo tipo non è affatto chiaro. Ciò che solo è certo è che essi, allo stato, non ricadono nella fattispecie esaminata dalla Corte.

Interessante è infine notare che, per l’integrazione dell’illecito, non è necessario il successivo rilascio del diritto esclusivo da parte della competente autorità pubblica. AstraZeneca aveva infatti argomentato che l’eventuale abuso dovesse essere considerato circoscritto solo a quei mercati nazionali in cui si era effettivamente giunti alla concessione del certificato complementare e tale argomento è stato espressamente rigettato dalla Corte. Secondo quanto affermato da quest’ultima, l’abuso consiste nel comunicare informazioni ingannevoli, idonee ad indurre in errore le autorità pubbliche. Che tale comportamento ingannevole non produca i frutti sperati non rileva.