Con sentenza del 27 ottobre 2010 il Tribunale di Roma ha deciso nel caso Janssen – Menarini v. EG in relazione ad un brevetto concernente il principio attivo nebivololo. Si tratta di uno dei pochi casi (forse l’unico, alemno stando alle decisioni pubblicate) in cui si è affrontata la questione della validità di un c.d. “enantiomer patent”. In breve, il Tribunale è stato chiamato a decidere se il brevetto rivendicante un enantiomero del nebivololo fosse dotato di novità e attività inventiva a fronte dell’anteriorità data da un brevetto che asseritamente già divulgava la forma racemica.

il Tribunale ha completamente ribaltato la ricostruzione del CTU e affermato che, nonostante i diversi riscontri che in giurisprudenza ha avuto l’orientamento che esclude la sperimentazione dalle attività normali dell’esperto del ramo, nello specifico settore farmaceutico, l’esperto del ramo è in realtà un “ricercatore”. Per lo stesso, quindi, lo svolgimento di un certo livello di sperimentazione costituisce attività di routine. In particolare, noto il racemo (o, come nel caso di specie, una miscela di racemi), è routine per l’esperto del ramo procedere alla separazione degli enantiomeri ed alla verifica dell’attività degli stessi, tramite il cosiddetto approccio “top down” (ovverosia, letteralmente, la scomposizione progressiva del compound, dapprima volta ad isolare le strutture racemiche e successivamente ad analizzare i singoli componenti costituenti il racemo).

Questa decisione verrà certamente massimata e vi sarà senz’altro chi cercherà di derivarne un principio di carattere generale rispetto agli “enantiomer patents”. Ritengo però azzardata una generalizzazione. Ad una lettura attenta della sentenza, sembra che l’accertamento negativo del Tribunale in ordine all’attività inventiva sia stato profondamente influenzato dalle circostanze specifiche del caso. Le conclusioni del Tribunale in riferimento all’assenza di attività inventiva alla luce della ovvietà del c.d. approccio “top down”, infatti, sembrano in realtà essere un obiter dictum, avendo il Tribunale già in precedenza deciso per la non brevettabilità del trovato in virtù di un altro e diverso motivo, quale la supposta assenza, dal contesto globale della descrizione, delle rivendicazioni e dei disegni del brevetto, dell’indicazione del beneficio tecnico derivante dall’enantiomero rispetto al composto noto contenente il racemo. In ogni caso il Tribunale afferma espressamente che il giudizio di ovvietà può comunque essere superato dalla prova storica, ad esempio, di un particolare pregiudizio tecnico che avrebbe disincentivato l’esperto del ramo alla scomposizione del composto di base ed alla verifica dell’attività dell’enantiomero.