Si è storicamente osservato che l’utilizzo di tessuti cerebrali di embrioni umani – se da un lato consente di ottenere risultati promettenti nella cura di malattie neurologiche – dall’altro lato pone importanti problemi etici, oltre a una serie di problemi tecnici tra cui la difficoltà di ottenerne in quantità tali da rendere accessibile al pubblico la cura mediante terapia cellulare. Al riguardo, con sentenza in data 18 ottobre 2011, la Corte di Giustizia UE si è pronunciata su una serie di questioni pregiudiziali particolarmente spinose, sollevate dal Bundespatentegricht (il Tribunale federale dei brevetti tedesco) nell’ambito di un giudizio vertente sulla validità di un brevetto tedesco depositato nel 1997 ed avente ad oggetto la produzione di cellule progenitrici neurali isolate e depurate, procedimenti per la produzione delle stesse a partire da cellule staminali embrionali e il loro utilizzo per il trattamento di anomalie/patologie neurali. Nel rinviare alla Corte Ue il Bundespatentgericht rilevava che la Direttiva 98/44 /CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche esclude che possano essere concessi brevetti aventi ad oggetto l’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali e tuttavia non fornisce alcuna indicazione circa la concreta nozione di “embrione umano”. Il Bundespatengericht ha pertanto investito la Corte UE della questione se in detta nozione di embrione umano rientrino le cellule staminali embrionali umane utilizzate quale materiale di partenza dei procedimenti per la produzione delle cellule progenitrici neurali isolate e depurate oggetto del brevetto in questione e gli organismi così ottenuti, rivendicati dal brevetto oggetto del giudizio di nullità. La Corte UE ha rilevato che l’impianto normativo e il contesto della Direttiva (con particolare riferimento agli articoli 5 e 6) suggeriscono che la nozione di “embrione umano” debba essere intesa in senso ampio, comprensiva di ogni entità idonea a costituire l’avvio di un processo di sviluppo di un essere umano. In buona sostanza, si deve qualificare come “embrione umano” ogni ovulo che sia stato fecondato o in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura, tali condizioni essendo sufficienti per l’avvio al processo di sviluppo di un essere umano, così come le cellule staminali embrionali dallo stesso ricavate. Nonostante l’adozione di una nozione così ampia di “embrione umano”, è tuttavia interessante rilevare come la Corte non abbia escluso in radice la brevettazione di cellule staminali e/o procedimenti per la produzione di cellule staminali. Infatti, nel rinviare alla Corte UE, il Bundespatentgericht aveva rilevato che le rivendicazioni del brevetto in questione non coprivano esclusivamente cellule ricavate da cellule staminali embrionali “totipotenti” – ovverosia cellule in grado di svilupparsi in un intero organismo – ma anche cellule staminali “pluripotenti”, ricavate da embrioni umani nello stadio di blastocisti (lo stadio dal 4° al 14° giorno dopo la fecondazione), capaci di produrre molti tipi diversi di cellule mature e di tessuti, ma non tutti quelli necessari a comporre un organismo. A questo riguardo, la Corte UE ha concluso che si tratta di un accertamento di fatto – come tale spettante al giudice nazionale – stabilire se, sulla base degli sviluppi della scienza, una cellula staminale ricavata da un embrione umano capace di generare solo alcuni e non tutti i tessuti umani (pluripotente), costituisca un embrione umano secondo la nozione ricostruita dalla Corte UE.