La Sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Milano ha di recente fornito rilevanti indicazioni in materia di concorrenza sleale per imitazione servile e parassitaria ex. art. 2598 c.c. con specifico riferimento alla imitazione fra prodotti concorrenti ed alle relative metodologie di vendita.
Fatti del procedimento
La società attrice, produttrice di pannelli decorativi per pareti, ricorreva in via cautelare avverso una società concorrente, richiedendo alla Sezione specializzata del Tribunale milanese di disporre la cessazione dei presunti atti di concorrenza sleale posti in essere dalla resistente ed il ritiro dal mercato dei prodotti contestati.
In questo contesto, il Tribunale non ha mancato di dettare, e di riconfermare in sede di successivo reclamo innanzi al medesimo Tribunale in composizione collegiale azionato dalla soccombente attrice, i principi cardine della giurisprudenza in tema di concorrenza sleale.
I principi in materia di imitazione servile e l’efficacia individualizzante delle caratteristiche esteriori
Con riferimento alla realizzazione di prodotti appartenenti alla medesima categoria di quelli già immessi sul mercato da un altro operatore del mercato, il Tribunale ha ribadito che, al fine di identificare una condotta come atto di concorrenza sleale per imitazione servile, l’imitazione del prodotto deve ricadere su quella forma del prodotto “che investe le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempreché la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto” (così anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8944 del 14/05/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3478 del 12/02/2009). L’art. 2598 c.c., come noto, non esclude in senso assoluto la possibilità di imitazione, che invece rientra nei normali meccanismi della concorrenza, bensì stabilisce che commette un illecito chi, imitando, determina il pericolo di confusione con altri prodotti. Il prodotto oggetto dell’imitazione altrui dovrà dunque possedere uno o più elementi non funzionali tali da rendere lo stesso come esclusivo, specifico e inconfondibilmente ed immediatamente ricollegabile a un dato imprenditore.
Con riferimento al caso di specie, sulla base dei principi sopra menzionati, il Tribunale ha rilevato la totale assenza di atti di concorrenza sleale per imitazione servile, ritenendo che i pannelli decorativi di parte ricorrente non vantassero alcuna caratteristica esteriore “arbitraria o capricciosa”, ovvero dotata di efficacia individualizzante e non determinata dalle proprie caratteristiche funzionali. Elementi indubbiamente determinanti per giungere a tale conclusione sono stati, tra gli altri, la misura dei pannelli (100×50) del tutto priva di alcun profilo caratterizzante, ed anzi considerata standard per il settore di riferimento, e l’ampia diffusione nel mercato di pannelli simili, se non identici, a quelli oggetto di causa offerti da diversi operatori economici. Il Tribunale ha, inoltre, giudicato ininfluente ai fini della decisione il fatto che la ricorrente avesse o meno, per prima, commercializzato detti pannelli, dando così esclusivo rilievo all’attuale situazione di mercato.
Scelte di metodologia di vendita: il posizionamento, di prodotti concorrenti all’interno degli store
Quanto alla metodologia di vendita dei prodotti, il Tribunale milanese ha evidenziato che, al fine di determinare se sussista un atto concorrenzialmente scorretto, assumono rilievo esclusivamente quei “profili che non sono autonomamente determinati dal venditore al dettaglio”. Invero, il fatto che due prodotti siano posizionati dal dettagliante nel medesimo reparto o addirittura uno affianco all’altro altro non è che una scelta riconducibile esclusivamente allo stesso dettagliante – oltre che, a parere del Giudice e del Collegio, del tutto logica.
Concorrenza parassitaria: continua e sistematica imitazione delle iniziative imprenditoriali
Il Tribunale di Milano ha poi ribadito che, ai fini della concorrenza parassitaria, occorre “un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, mediante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale”.
In aggiunta, è necessario che l’atto asseritamente illecito si riferisca a mezzi necessariamente diversi e distinti da quelli che concernono i casi tipici di concorrenza sleale ex art. 2598 c. 1 e 2 c.c.
Dovranno, poi, essere indicate tutte le attività che risultano “sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale (da ultimo Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 25607 del 12/10/2018)”; non potendo, sul punto, considerarsi sufficiente a integrare la fattispecie illecita in esame un “generico e fugace riferimento ad altri prodotti”.
Sul periculum in mora
Da ultimo, in tema di periculum in mora, il Tribunale ha ribadito l’orientamento granitico secondo il quale, in via cautelare, “la tutela mediante provvedimento inibitorio deve comunque ricollegarsi ad un pregiudizio economico particolarmente qualificato, caratterizzato, sulla base delle circostanze del caso concreto, da rilevante entità e suscettibile di sviluppi imprevedibili ed incontrollabili, ovvero da una difficile prova della sua entità nel successivo giudizio di merito”, richiamando sul punto la precedente decisione dello stesso Tribunale del 5 gennaio 2012.