E’ di pochissimi giorni fa il provvedimento del Tribunale del Riesame di Padova che ha annullato il decreto con cui il GIP aveva disposto la misura del sequestro preventivo di 493 siti internet aventi nel proprio nome a dominio la parola “Moncler”, sulla base della supposta commissione dei reati di cui agli artt. 474, 517 e 648 del codice penale. Il 29 settembre 2011, Il GIP, sulla base di una denuncia contro ignoti presentata da Moncler, aveva ordinato il sequestro dei siti “con oscuramento degli stessi al fine di inibire l’accesso e la consultazione da parte di utenti che accedono alla rete tramite provider nazionali”. Il provvedimento era poi stato notificato ai fini dell’esecuzione a 27 service providers italiani i quali, pertanto, avrebbero dovuto impedire la “fruizione” dei siti in questione da parte dei loro utenti in territorio italiano. In sostanza, sembrerebbe che Moncler abbia scelto di percorrere la strada della denuncia penale visto l’enorme numero di siti non autorizzati, attivi nella vendita di capi d’abbigliamento, in cui si perpetravano in vario modo contraffazioni del proprio marchio, tutti siti collegati a nomi a dominio che contenenti la parola Moncler. Dopo aver già speso tempo e denaro in varie procedure di riassegnazione in sede WIPO (pare più di 200, tra già decise e ancora pendenti), Moncler ha scelto, forse come scorciatoia, la strada penale ed in prima battuta è andata benissimo, ottenendo appunto il sequestro dei siti. I service providers hanno però presentato ricorso per riesame in qualità di “terzi interessati” ed hanno avuto, almeno fino ad ora, ragione. La decisione del Tribunale del Riesame non mi sembra chiarisca tutti i motivi alla base dei ricorsi dei service providers. Sembrerebbe che questi abbiano sollevato anche questioni di carattere tecnico (legate forse alle modalità dell’oscuramento disposto dal GIP), ma non è in ogni caso in relazione a questioni tecniche che il riesame è stato accolto. Il Tribunale ha infatti stabilito che il provvedimento non fosse giustificato poiché non vi era prova sufficiente del fatto che (tutti) i siti collegati ai nomi a dominio contenenti la parola Moncler svolgessero attività di vendita di capi di abbigliamento contraffatti, essendovi la possibilità che si trattasse quindi anche di siti che vendevano prodotti Moncler originali. Di per sé sola, ha ritenuto il Tribunale, l’attivazione di un sito con nome a dominio contenente la parola Moncler non è una contraffazione di marchio. Questa motivazione non è ovviamente convincente: un nome a dominio non autorizzato da Moncler, che contenga la parola Moncler, utilizzato per vendere capi di abbigliamento, può certamente essere una contraffazione di marchio indipendentemente da se l’attività di vendita riguardi capi originali o contraffatti. Il punto potrebbe semmai essere un altro, ovverosia se i siti in questione possano effettivamente tutti essere ritenuti determinare la commissione, perseguibile in Italia, dei reati contestati. Non è chiaro, ad esempio, se le indagini avessero anche già chiarito che l’attività di vendita svolta da tutti i siti in questione – relativa a prodotti contraffatti o meno – fosse rivolta al pubblico italiano, quando nell’elenco complessivo dei siti oscurati vi erano anche siti non italiani. Qualcuno dice poi che alcuni dei siti colpiti nemmeno svolgessero attività di commercializzazione, ma fossero solo siti di fans della Moncler, per i quali la contestazione dei reati di cui sopra non sarebbe ovviamente sostenibile: non ho controllato tutti i siti, ma mi sembra che almeno per la stragrande maggioranza si tratti di siti in cui, effettivamente, si effettua attività di commercializzazione. Questione molto interessante … Mi pare in ogni caso di poter dire che questa vicenda dimostra, ancora una volta, che la strada del procedimento penale per la tutela di diritti di proprietà intellettuale può dare ottimi risultati all’inizio che però non sono sempre facili da conservare. Anche se, nella pratica, scommetterei che almeno alcuni di questi siti sono già spariti ….