dop.jpgIn una decisione del 28 aprile scorso il Tribunale di Roma ha affrontato il mai facile tema del conflitto tra i marchi e le indicazioni geografiche, affermando in sostanza che un vero conflitto nemmeno potrebbe esistere, vista la necessità che il marchio abbia capacità distintiva e la connaturata funzione descrittiva, invece, delle indicazioni geografiche.bicchiere vino.jpg

 

Il caso riguardava un’azione per l’accertamento negativo, in via cautelare, promossa dai titolari dei marchi “Vermentino di Maremma” e “Moro di Capalbio”, utilizzati per vini, nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole che già aveva minacciato sanzioni rispetto all’uso di tali marchi ritenendolo in violazione della IGT “Maremma Toscana” e della DOC “Capalbio”.

La disciplina comunitaria relativa alle indicazioni geografiche protette (ed in particolare l’art. 6 del Regolamento n. 1151/2012 per il prodotti alimentari e l’art. 44 del regolamento 479/2008 in relazione ai vini) contiene norme di conflitto secondo cui, in sostanza, mentre non possono essere registrati marchi che si trovino in una situazione di confondibilità rispetto ad indicazioni geografiche già registrate, nel caso contrario, la regola sia quella della coesistenza tra l’indicazione geografica ed in il marchio anteriore, ove il marchio non incorra in altri motivi di nullità. Non è quindi prevista l’automatica non registrabilità della indicazione geografica in considerazione del marchio anteriore. Si prevede invece che una indicazione geografica non sia registrata in virtù di un marchio anteriore soltanto in considerazione della particolare notorietà e reputazione del marchio (e nel caso dei prodotti alimentari, e non dei vini, anche della durata della sua utilizzazione). Sussiste pertanto la prevalenza delle indicazioni geografiche registrate rispetto ai marchi anche preesistenti.

Il Tribunale di Roma ha ora fornito una interpretazione della legge che renderebbe quasi inutili le norme di conflitto di cui sopra, visto che ogni questione si risolverebbe da sé, sulla base dei requisiti di validità del marchio. Il Tribunale ha infatti rigettato la domanda dei titolari dei marchi, affermando anzi che i marchi stessi sarebbero da annullare, stabilendo che “chi produca un vino in un’area geografica protetta ha la possibilità, in base alle condizioni previste dalla normativa vigente, di ottenere che lo stesso sia contrassegnato, a seconda dei casi, da una denominazione di origine controllata o da un’indicazione geografica tipica, ma non può utilizzare queste ultime come marchi di impresa, o come elementi di marchi di impresa. Infatti, le denominazioni di origine e le indicazioni di provenienza assolvono a una funzione diversa rispetto a quella che è propria del marchio: quest’ultimo ha una finalità meramente distintiva, priva di valenze significative; le DOC e le IGT, di contro, sono segni che garantiscono l’origine, la natura e la qualità dei prodotti; tali segni sono stati da sempre utilizzati per garantire la provenienza del prodotto da una zona geograficamente determinata cui i consumatori tradizionalmente associano una qualità costante che deriva da fattori ambientali e umani. Se un marchio potesse riprodurre una denominazione di origine controllata o una indicazione geografica tipica non corrispondenti al luogo di produzione verrebbe vanificata la finalità propria dell’indicazione di provenienza e il consumatore non sarebbe tutelato quanto all’origine del prodotto. Se, all’opposto, fosse consentito far coincidere il marchio con la denominazione che contraddistingue l’area geografica della DOC o dell’IGT che è propria del prodotto (nell’ipotesi in cui quest’ultimo possa fregiarsi di quelle specifiche indicazioni di provenienza) non sarebbe assicurata al marchio d’impresa alcuna capacità individualizzante: e infatti l’art. 13, lett. b) c.p.i. vieta che possa essere registrato un marchio costituito da denominazioni generiche o da indicazioni descrittive, come i segni che servano a designare la provenienza geografica dei prodotti. In conclusione, quindi, la sovrapposizione tra marchi e indicazioni di origine è esclusa: nel primo caso in quanto è vietato l’uso decettivo del marchio, nel secondo in quanto non è consentito l’impiego di marchi a contenuto descrittivo e privi di attitudine distintiva”.

Sembrerebbe ovvio, no? la realtà è spesso però più complicata di così. Ci possono essere marchi che hanno acquisito secondary meaning, pur avendo ab origine una capacità distintva limitata. Il giudizio di confondibilità, poi, è tutt’altro che facile…