
Introduzione
Dall’analisi dei provvedimenti assunti nel 2024 dagli organi dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria notiamo una preponderanza di ingiunzioni e provvedimenti basati sulla violazione degli articoli 23 e 23bis del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria della Comunicazione commerciale (“CAP”), che individuano le regole per una corretta diffusione dei messaggi pubblicitari rispettivamente in tema di “Prodotti cosmetici e per l’igiene personale” e di “Integratori alimentari e prodotti dietetici”. In relazione a tali categorie di prodotto, il principio base della normativa pubblicitaria è rappresentato dalla necessità di evitare qualsiasi possibile confusione da parte del pubblico in merito alle proprietà e/o agli effetti di integratori alimentari e dei cosmetici, che non devono in alcun modo essere assimilati o assimilabili a quelli di prodotti medicinali.
Provvedimenti in tema di prodotti cosmetici e per l’igiene personale
Nello specifico, l’articolo 23 CAP prescrive che la comunicazione commerciale relativa ai prodotti cosmetici e per l’igiene personale debba essere tale da non indurre i consumatori a confondere detti prodotti con medicinali, presìdi medico-chirurgici, dispositivi medici e trattamenti curativi, né a ritenere che essi abbiano caratteristiche, proprietà e funzioni diverse da quella di essere applicati sulle superfici esterne del corpo umano, sui denti e sulle mucose della bocca, allo scopo esclusivo o prevalente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato e correggere gli odori corporei. In altre parole, dev’essere evitata la costruzione intorno al prodotto cosmetico di una c.d. “aura medicale” che possa determinare un rischio di associazione tra il prodotto e gli ambienti sanitari[1].
In linea con tale previsione, il Comitato di Controllo si è espresso in merito all’ingannevolezza di due diversi messaggi pubblicitari relativi rispettivamente ad un doccia-shampoo presentato come avente azione antibatterica e antifungina[2] e ad una crema avente un’asserita efficacia terapeutica nel trattamento della dermatite[3]. In entrambi i casi, a detta dell’organo, la costruzione del messaggio era tale da indurre il pubblico in errore sulle caratteristiche e gli effetti del prodotto pubblicizzato, in quanto l’esplicita promessa di un’azione antibatterica e antifungina, nel primo caso, o antiinfiammatoria in relazione ad una situazione patologica, nel secondo, attribuiva al prodotto un’efficacia che lo accreditava impropriamente alla stregua di un trattamento farmacologico, trascendendo appunto gli effetti riferibili invece ad un cosmetico.
Ciò detto, non si può tuttavia negare che determinati prodotti cosmetici e per l’igiene personale possano avere caratteristiche sussidiarie per la prevenzione di particolari situazioni patologiche. Ciò è esplicitamente riconosciuto dallo stesso articolo 23 CAP, che ammette la liceità di comunicazioni commerciali che mettono in risalto tali caratteristiche, sempre che i prodotti in questione effettivamente impieghino formule e ingredienti specifici riferibili allo scopo dichiarato.
Provvedimenti in tema di integratori alimentari e prodotti dietetici
Parallelamente, in tema di integratori alimentari e prodotti dietetici (anche per la prima infanzia), l’articolo 23bis CAP stabilisce che la relativa comunicazione commerciale non debba vantare proprietà non conformi alle particolari caratteristiche dei prodotti o da essi non realmente possedute, né indurre i consumatori in errori nutrizionali, ed evitare in ogni caso richiami a raccomandazioni o attestazioni di tipo medico.
Sulla scorta di ciò, è stato ritenuto contrario (anche) all’art. 23bis CAP un messaggio pubblicitario volto a promuovere un integratore alimentare attribuendogli un’efficacia di rafforzamento del sistema vascolare e di miglioramento della circolazione, e dunque un’efficacia trascendente gli effetti riconoscibili agli integratori, i quali possono “unicamente limitarsi a mantenere in buono stato una situazione di partenza sana, non potendo costituire in alcun modo un intervento di rafforzamento o miglioramento”[4]. In tale occasione, il Comitato di Controllo ha altresì ribadito che la valutazione circa l’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario deve tenere conto non soltanto del contenuto del messaggio in sé, ma anche del pubblico cui esso è destinato “costituito da persone particolarmente sensibili e per questo motivo portate ad una decodifica più allettante ed illusoria delle promesse del facile ottenimento di risultati particolarmente ambiti (quali quelli in campo salutistico), con la conseguente amplificazione dei profili di ingannevolezza”[5].
In un altro caso recente, il Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria ha ordinato la cessazione di una comunicazione commerciale concernente un integratore alimentare a base di collagene, rilevando come l’inserzionista non avesse assolto l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza dei pregi ascritti all’integratore oggetto del messaggio, essendosi limitato ad allegare uno studio scientifico non ancora pubblicato e in realtà nemmeno concluso[6]. In tale sede, il Giurì ha chiarito che per un effettivo assolvimento dell’onere probatorio di dimostrare la verità del messaggio pubblicitario (ex art. 6 CAP) è necessaria la presentazione di evidenze basate su studi interamente compiuti e pronti per essere sottoposti all’esame della comunità scientifica e che, al contrario, uno studio in fieri non può rappresentare un’idonea fonte di prova. Il Giurì ha altresì posto l’accento sul ruolo dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (“EFSA”) nella verifica di attendibilità ed innocuità degli integratori alimentari, sottolineando che la principale modalità per gli inserzionisti di assolvere al suddetto onere probatorio coincide proprio con l’approvazione degli integratori pubblicizzati da parte dell’EFSA.
Una disciplina specifica è poi individuata per i messaggi pubblicitari aventi ad oggetto gli integratori alimentari per il controllo o la riduzione del peso, per i quali il Regolamento sulla comunicazione commerciale degli integratori alimentari, oltre a vietare la rivendicazione di vantaggi non veritieri o non dimostrati o riferirsi ad approvazioni o avalli scientifici, stabilisce anche che il messaggio pubblicitario non possa presentare i prodotti in questione come “dimagranti”, potendo essi svolgere al massimo una generica azione coadiuvante nell’ambito di diete ipocaloriche, e vieta l’esplicita menzione di condizioni di peso “ideale” o di quantificazioni assolute dei risultati ottenibili in un determinato periodo di tempo, come anche l’enfasi del concetto di dimagrimento come sinonimo di salute. Circa la possibilità di richiamare test o studi scientifici a corredo delle affermazioni contenute nell’annuncio, il Regolamento ammette la citazione circostanziata e veritiera dei risultati specifici di test di tollerabilità o di efficacia effettuati sui prodotti pubblicizzati, a condizione che si tratti di test effettuati secondo criteri e metodologie accettati dalla comunità scientifica. Al contrario, non è consentito l’uso di espressioni quali “clinicamente testato”, oppure “test clinici dimostrano che…”. Alla stregua di tali principi, sono stati ritenuti non conformi messaggi pubblicitari che rivendicavano un’efficacia degli integratori alimentari pubblicizzati su punti localizzati del corpo (ad esempio, su “girovita”, “addome”, “pancia” e “fianchi”[7]), anche mediante l’impiego di espressioni come “Efficacia testata”, “funzionalità dimostrata da test clinico”[8], riportando invece le informazioni essenziali sulla reale natura del prodotto e della sua funzionalità a caratteri minimi in calce al messaggio.
Conclusioni
Ciò detto, è riscontrabile un’importante contrazione del numero dei provvedimenti negativi assunti dagli organi dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria nel corso dell’ultimo ventennio. Questa tendenza potrebbe ascriversi ad una maggiore attenzione degli operatori economici nei confronti della normativa di settore. Parimenti, nell’analisi del trend considerato non può trascurarsi la maggiore sensibilità dello stesso consumatore nei confronti del messaggio pubblicitario: la veridicità del claim, la sua oggettiva verificabilità e più in generale la trasparenza nella comunicazione d’impresa sono elementi centrali nella scelta d’acquisto da parte dell’utilizzatore finale, traducendosi dunque in elementi premiali e di accreditamento sul mercato non più trascurabili dalle imprese ai fini della loro competitività.
[1] cfr. Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria, pronuncia n. 25/2024, 19 settembre 2024, Beiersdorf S.p.A. c. L’Oréal Italia S.p.A., par. 47.
[2] cfr. ingiunzione n. 15/24 del 10 giugno 2024.
[3] cfr. ingiunzione n. 13/24 del 30 maggio 2024.
[4] cit. ingiunzione n. 35/24 del 13 novembre 2024.
[5] cit. ingiunzione n. 35/24 del 13 novembre 2024; cfr. anche ingiunzione n. 17/24 del 19 giugno 2024.
[6] cfr. pronuncia n. 24/2024, 11 ottobre 2024, Comitato di Controllo c. Biostile et al.
[7] cfr. ingiunzioni n. 11/24 del 28 maggio 2024 e n. 19/24 del 5 luglio 2024.
[8] cfr. ancora ingiunzione n. 11/24 del 28 maggio 2024.