Clini-sacchetti-biodegradabili.jpgCon sentenza del 10 luglio 2012, il Tribunale di Torino ha deciso in primo grado la causa instaurata dalla società italiana Novamont S.p.A. nei confronti della società tedesca Biotec Biologisce Naturverpackungen GmbH & Co. KG e della società francese Biosphère S.A. per l’asserita contraffazione di tre brevetti Novamont relativi a materiali plastici a base di amido utilizzati tra l’altro per la produzione di sacchetti per la spesa biodegradabili. Il Tribunale ha rigettato la domanda di contraffazione ed ha anzi accolto la domanda riconvenzionale di nullità dei brevetti Novamont (con la sola eccezione di una rivendicazione di processo che il Tribunale non ha però ritenuto essere stata violata dalle convenute).

Si tratta di un caso in cui il Tribunale ha parzialmente disatteso le conclusioni del CTU nominato, che aveva invece concluso per la validità e la contraffazione di uno dei tre brevetti azionati (confermando invece la nullità degli altri due). A questo riguardo, la decisione contiene un lungo passaggio che analizza il rapporto tra il giudice ed il CTU ed i casi in cui il primo può disattendere le conclusioni del secondo. Premesso che è evidente che il giudice mai è vincolato alle conclusioni del CTU, avendo il noto ruolo di “peritus peritorum”, secondo il Tribunale di Torino, il giudice può in sede di sentenza dissentire da quanto affermato dal proprio consulente solo ove le critiche all’elaborato peritale mosse dalle parti siano “idonee a segnalare e stigmatizzare un vizio logico, metodologico o scientifico nel ragionamento seguito dal Consulente d’ufficio, suscettibile di essere rilevato e valutato dal Giudice sulla scorta del bagaglio di nozioni di comune esperienza e del patrimonio culturale di cui è in possesso”. Il giudice, competente circa le norme che regolano i brevetti e la loro interpretazione, ma non circa lo specifico ambito tecnico cui appartiene l’invenzione brevettata, non può infatti sostituirsi al proprio consulente nella valutazione di critiche aventi natura meramente tecnica e ripetitiva rispetto a quanto già sostenuto nel corso del contraddittorio tecnico e sulle quali il Consulente si è già espresso.

Il caso è poi interessante in quanto si tratta di una delle relativamente poche decisioni in Italia in cui considerazioni circa i criteri da adottare nella valutazione della sussistenza o meno dei requisiti di brevettabilità varcano la soglia dell’elaborato del Consulente Tecnico d’Ufficio e raggiungono la sentenza. Il Collegio si è in particolare soffermato sul criterio da adottare nella valutazione dell’altezza inventiva, confermando espressamente la preminenza del criterio del “problem and solution approach”, definito come segue: “Secondo l’art. 48 C.p.i. un’invenzione è considerata come implicante attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica. Poiché la verifica della sussistenza di questo requisito viene fatta ex post (ossia dopo l’invenzione) è necessario condurre questa valutazione sulla base di criteri logici che evitino di ritenere “evidente” quello che tale non era e non poteva essere prima della brevettazione. A questo scopo il European Patent Office ha fissato delle linee guida che vengono comunemente denominate “problem – solution approach”. Tale approccio, appunto, consta di tre “gradi” di valutazione e precisamente: a) la determinazione della prior art del settore di riferimento; b) l’individuazione del problema tecnico oggettivo che l’invenzione si propone di risolvere; c) la verifica se la soluzione adottata al problema tecnico oggettivo, a partire dalla prior art, risultasse “ovvia” (ossia evidente) per il tecnico del ramo. Quest’ultimo livello di valutazione viene comunemente definito come “would – could approach” ed esso è finalizzato a verificare, con giudizio ex ante, se l’esperto del ramo sarebbe stato spinto a risolvere il problema tecnico partendo dalla prior art nella speranza di risolvere il problema tecnico oggettivo o quantomeno nell’aspettativa di ottenere qualche miglioramento o vantaggio”.

La decisione, infine, tocca un punto concernente le rivendicazioni c.d. product by process, e conferma espressamente che, nel caso in cui occorra valutare se un prodotto dell’arte nota anticipi un’invenzione protetta tramite rivendicazione “product by process”, il confronto vada comunque effettuato tra i prodotti, e non tra i procedimenti di preparazione: “in sostanza, una rivendicazione di prodotto definita attraverso il procedimento è pur sempre una rivendicazione di prodotto, che deve essere nuovo e originale, e differenziarsi dalla tecnica nota per qualche proprietà obiettivamente accertabile, anche se le difficoltà definitorie vengono superate con la descrizione del procedimento seguito per la produzione, che viene in considerazione nella struttura del documento brevettuale per selezionare il prodotto brevettato attraverso il modo con cui viene preparato. Tuttavia la descrizione del procedimento non può valere a surrogare l’inesistenza delle differenze del prodotto finale, ma solo le difficoltà di descriverle sotto il profilo strutturale”.