La recentissima decisione del Tribunale di Milano del 28 aprile 2011, nel caso Cassina contro High Tech, e la decisione della Corte di Giustizia dello scorso gennaio nel caso Flos contro Semeraro, rappresentano gli ultimissimi sviluppi in materia di tutela delle opere del disegno industriale dalle riproduzioni non autorizzate, e segnano punti importantissimi a favore del mondo dei designer, dopo anni di lotte durissime contro la potente lobby dei “copiatori”.
Inquadriamo il tema. Sono anni che si discute sul se le opere del disegno industriale possano beneficiare della tutela di diritto d’autore che dura fino a settant’anni dopo la morte dell’autore, e sono anni che le corti italiane pronunciano decisioni discordanti o comunque basate su scenari normativi in continua evoluzione (o, per alcuni, “involuzione”) e quindi incapaci di scrivere linee guida sicure per le imprese. Per molti decenni il vecchio testo dell’art. 2 della legge sul diritto d’autore, in base al quale le opere del disegno industriale potevano godere di protezione autoristica solo ove il loro valore artistico fosse scindibile dal carattere industriale, aveva portato la giurisprudenza ad escludere siffatta tutela in praticamente tutti i casi di opere del disegno industriale che non fossero bidimensionali. Nel 2001 è stata implementata la direttiva 1998/71/CE e, fra le altre cose, modificato l’art. 2 della legge sul diritto d’autore, eliminando il concetto di “scindibilità” e sostituendolo con due altri requisiti (valore artistico e carattere creativo) che garantiscono un maggior raggio d’azione della tutela autoristica nel settore del disegno industriale. Inoltre, è stato ammesso il cumulo delle tutele: ciò che può accedere alla tutela come design registrato, può anche accedere (ove ne ricorrano i requisiti) alla tutela di diritto d’autore. Sennonché, sono dieci anni che – evidentemente sotto l’efficace spinta della lobby dei “copiatori” – assistiamo all’adozione di norme, riforme e controriforme finalizzate a limitare l’applicabilità della nuova disciplina alle opere preesistenti al momento dell’implementazione della direttiva (avvenuta con il d.lgs. 95/2001). E così, prima con l’art. 25 bis del d.lgs. 95/2001 (successivamente abrogato dal Codice della Proprietà Industriale – CPI) e poi con varie versioni dell’art. 239 CPI, si è resa praticamente inefficace l’applicazione della tutela autoristica a coloro che, prima del 2001, avessero già iniziato la produzione e commercializzazione di riproduzioni di opere da ritenersi – appunto prima del 2001 – in pubblico dominio. L’art. 25 bis d.lgs. 95/2001 stabiliva infatti che per un periodo di dieci anni decorrenti dal 19 aprile 2001, la protezione accordata dal nuovo testo dell’art. 2 della legge sul diritto d’autore non avrebbe operato nei confronti di coloro che, anteriormente alla predetta data, già avessero intrapreso la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli “precedentemente tutelati da brevetto e caduti in pubblico dominio”. La prima versione dell’art. 239 CPI (introdotta nel 2005 con l’adozione del CPI) aveva poi riscritto l’inciso facendo riferimento a disegni o modelli “che erano oppure erano divenuti di pubblico dominio”. In questo modo, sembrava essersi chiarito che la moratoria dei dieci anni dovesse applicarsi a tutti i casi, sia che si trattasse di opere precedentemente registrate, sia che si trattasse di opere mai registrate prima (come era il caso della maggior parte dei modelli dei grandi designer del novecento). La successiva versione dell’art. 239 CPI (adottata nel 2007) aveva poi addirittura eliminato il limite dei dieci anni, stabilendo che la tutela d’autore non operasse tout court nei confronti di coloro che già avevano copiato precedentemente al 2001. E’ a cavallo di queste due ultime versioni dell’art. 239 CPI che si inserisce il caso che ha contrapposto Flos e Semeraro su cui nel prossimo post.