Il Tribunale di Milano si è recentemente pronunciato in un altro caso in materia di responsabilità dell’Internet Service Provider nei confronti di Google (vedi anche i precedenti post qui e qui) . Si tratta di un’ordinanza collegiale del 24 marzo scorso che ha deciso in sede di reclamo un procedimento cautelare instaurato da un imprenditore del settore finanziario che lamentava il fatto che, nell’effettuare una ricerca digitando il nome della propria impresa, il sistema “Google Suggest” associava al nome stesso, le parole “truffa” o “truffatore”. Chiedeva pertanto riconoscersi la responsabilità di Google e l’emissione nei confronti di questa di un ordine di rimozione dell’associazione ritenuta lesiva. “Google Suggest” è quel sistema che, all’inserimento di uno o più termini nella barra di ricerca, determina l’apertura di una “tendina” sottostante alla barra contenente una lista di possibili completamenti della ricerca (cioè altre parole o parti di parola), suggerendo all’utente lo svolgimento di una ricerca più mirata, migliorandone la precisione e le chance di successo. Google ha invano sostenuto l’assenza di responsabilità sottolineando il fatto che la funzionalità del servizio “Suggest” è data da un software che opera secondo un algoritmo matematico procedente su basi puramente statistiche ed automatiche, aventi come riferimento le ricerche maggiormente effettuate dagli utenti. In altre parole, “Google Suggest” propone all’utente di restringere la ricerca a contenuti già cercati da altri con simili termini di ricerca. Non vi è quindi alcun preventivo intervento di Google sui suggerimenti forniti, né vi è in realtà un vero contenuto illecito, tanto che Google ha in specifico sollevato che l’attività in questione non rientrerebbe in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 16 del D. Lgs. n. 70/2003, con la conseguenza che Google non sarebbe stata obbligata ad eliminare il preteso contenuto illecito su segnalazione del ricorrente (rimozione che, infatti, non era avvenuta, nonostante la diffida). Il Tribunale ha invece ritenuto che i motori di ricerca sono vere e proprie raccolte di dati, informazioni, opere, consultabili attraverso parole chiave che, come tali, sono definibili come “hosting provider”, cioè soggetti che ospitano contenuti gestiti e forniti da altri sui propri server. Anche i motori di ricerca vanno pertanto riferiti agli artt. 12 – 15 della direttiva 2000/31/CE, cosicché, nel caso specifico, Google non è responsabile solo a condizione che non sia a conoscenza che l’attività sia illecita o non sia al corrente di fatti o circostanze in base ai quali l’illiceità è apparente o, non appena al corrente di tali fatti, non agisca immediatamente per ritirare le informazioni o per rendere impossibile l’accesso (art. 14). A Google è pertanto stato ordinato di rimuovere dal software “Suggest” l’associazione tra il nome del ricorrente e le parole “truffa” e “truffatore”. Anche il Tribunale di Roma ha già detto che i motori di ricerca sarebbero “hosting provider”, ma definire la lista fornita da “Google Suggest” come “contenuto” (suscettibile di essere illecito) potrebbe non convincere tutti.