Dopo il noto caso contro Youtube/Google di cui si è già molto parlato e la più recente decisione nel caso PFA Films contro Yahoo (vedi anche il precedente post qui), entrambi decisi dal Tribunale di Roma, anche il Tribunale di Milano si pronuncia a favore del titolare dei diritti con una sentenza pubblicata lo scorso 17 giugno nel caso RTI contro Italia On Line S.r.l. (IOL), proprietaria del portale www.libero.it. Il caso è particolarmente interessante poiché affronta la questione da una prospettiva diversa rispetto a quella utilizzata dai giudici romani nei due casi precedenti e, a mio avviso, ancora più pericolosa per le piattaforme che consentono la pubblicazione di contenuti caricati dagli utenti. I precedenti romani avevano in sostanza affrontato il problema dal punto di vista della corretta interpretazione degli artt. 16 e 17 d.lgs. 70/03 che, in sintesi, escludono che l’Internet Service Provider (ISP) abbia un obbligo generale di sorveglianza rispetto al contenuto immesso dagli utenti, prevedendo però che lo stesso, non appena a conoscenza dell’illiceità di detto contenuto, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso; ove ciò non avvenga l’ISP sarà ritenuto responsabile. I giudici romani avevano in particolare ritenuto che anche una diffida “generica” (cioè non necessariamente riferita agli specifici URL di tutti i contenuti contestati) fosse idonea a determinare l’obbligo di rimozione da parte dell’ISP. Si erano poi adottati provvedimenti di inibitoria che vietavano l’ulteriore pubblicazione delle opere in questione (il programma televisivo Il Grande Fratello ed il film About Elly) o di loro brani, così imponendo in sostanza un obbligo di sorveglianza agli ISP sulle future attività dei propri utenti, obbligo espressamente escluso dalle norme sopra citate. E qui stava secondo molti la debolezza di tali decisioni, che peraltro evidenziava una profonda inadeguatezza del sistema (vedi un altro post sul punto qui). Il Tribunale di Milano ha però ora adottato (anche) una linea diversa: secondo i giudici milanesi, IOL non sarebbe un semplice ISP e quindi ad essa non si applicherebbe quanto stabilito dagli artt. 16 e 17 d.lgs. 70/03. IOL sarebbe invece un vero e proprio content provider, visto che: i contenuti immessi dagli utenti sono associati a messaggi pubblicitari i cui proventi concorrono a finanziare l’attività di IOL (ed agli inserzionisti IOL propone un servizio che consente di visualizzare i messaggi pubblicitari in relazione agli specifici contenuti propri dei video immessi dagli utenti tramite l’utilizzazione di parole-chiavi comuni); la regolamentazione contrattuale proposta da IOL agli utenti prevede la concessione a IOL, tra l’altro, di licenza di utilizzare, riprodurre, adattare, pubblicare, distribuire, riprodurre i contenuti; IOL ha predisposto un servizio (visibile come link sotto ogni video pubblicato) che consente al visitatore di segnalare l’eventuale illiceità del contenuto, ciò che indicherebbe che IOL si sia assunta direttamente un onere di controllo in apparente contrasto con la semplice attività di ISP; IOL fornisce il servizio aggiuntivo di “video correlati” consistente nella visualizzazione – non ricercata dal visitatore, ma offerta all’utente in via automatica – di altri video che risultano correlati a quello prescelto dall’utente, ciò che presuppone una specifica indicizzazione dei contenuti che ne amplifica ulteriormente la visibilità; infine, la relazione tecnica di RTI avrebbe dimostrato la presenza di un numero non irrilevante di filmati tratti da suoi programmi televisivi immessi sul portale IOL dalla stessa redazione di libero.it. Pertanto, secondo il Tribunale, “Italia On Line S.r.l. quale soggetto che fornisce (quantomeno) un hosting attivo, in quanto organizza e seleziona il materiale trasmesso dagli utenti (…) e ne arricchisce e completa la fruizione, tanto da poter ritenere l’attività del prestatore del servizio – ancorché eseguita mediante l’ausilio di software – come rivolta alla gestione complessiva dei contenuti originari che risultano selezionati, arricchiti, organizzati mediante prestazione di servizi ulteriori in vista di uno sfruttamento commerciale che pare travalicare la mera remunerazione del servizio offerto, tanto da offrire al visitatore un prodotto che per la sua complessità ed organicità ha come sola base di partenza i contenuti trasmessi dagli utenti e fornisce invece ai visitatori un vero e proprio prodotto audiovisivo dotato di una sua specifica individualità ed autonomia”. Credo non sia difficile prevedere che prima o poi si andrà in Corte di Giustizia su questo punto.