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Con sentenza pubblicata il 12 luglio 2011 la Corte UE si è pronunciata nella causa C-324/09 L’Orèal vs E-bay. La sentenza presenta diversi profili di interesse che potranno essere affrontati anche in post successivi. Per il momento segnalo che, tra le numerose questioni pregiudiziali risolte dalla Corte UE, ve n’è una in punto di responsabilità degli Internet Service Providers che punta il dito proprio su uno dei profili di criticità già segnalati nel commentare i recenti provvedimenti del Tribunale di Roma nei casi You Tube e Yahoo (qui).  Si era infatti segnalato come tali provvedimenti , nella misura in cui non si limitavano a ordinare la rimozione dei contenuti illeciti ma inibivano altresì i provider dal proseguire l’illecito, potessero implicare per gli stessi provider un obbligo futuro di sorveglianza sulla presenza di eventuali contenuti illeciti – il che sembrava in contrasto con gli artt. 14 e 15 della Direttiva 2000/31 sul commercio elettronico. ebay logo.bmp

In breve, il rinvio pregiudiziale alla Corte Ue trae origine dal giudizio instaurato da L’Orèal nei confronti della casa d’aste on-line e-Bay per avere quest’ultima ospitato sul suo sito una serie di aste di vendita in violazione dei marchi di L’Oréal . Così facendo, eBay sarebbe stata responsabile anche di un’autonoma fattispecie di contraffazione per effetto della possibilità di visualizzare i marchi L’Oréal sul proprio sito internet. Dette circostanze erano state segnalate dalla casa francese con una notice inviata a e-Bay in data 22 maggio 2007, a seguito della quale L’Oréal aveva adito la High Court of Justice chiedendo, tra l’altro, l’emissione di provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti della violazione e a impedire ulteriori violazioni dei propri diritti di marchio. Nel proporre la seguente questione pregiudiziale – “se nel caso in cui i servizi di un intermediario quale il gestore di un sito internet siano stati utilizzati da terzi per violare un marchio registrato, se l’art. 11 [della Direttiva 2004/48 c.d. direttiva enforcement] imponga agli Stati membri di garantire che il titolare del marchio possa ottenere un’ingiunzione nei confronti dell’intermediario al fine di impedire ulteriori violazioni di detto marchio e non solo la prosecuzione di detto specifico atto di contraffazione, e in tal caso quale sia la portata dell’ingiunzione che può essere chiesta” – la corte inglese solleva dunque innanzi alla Corte Ue il problema di una condanna “per il futuro” dell’internet service provider, e di ciò che comproterebbe in termini di obblgihi di vigilanza. Nel rispondere alla questione pregiudiziale, la Corte UE ha concluso: “L’art. 11, terza frase, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere effettuve, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo”. A prima vista sembrerebbe quindi che l’approccio del Tribunale di Roma sia confermato. Ma la chiave sta nell’ultima frase della conclusione della Corte, che non deve quindi essere letta, ritengo, in modo troppo affrettato. Nella motivazione la Corte infatti segnala che l’art. 11 della Direttiva enforcement deve essere intepretato in via sistematica, facendo riferimento alle altre norme di diritto comunitario. Pertanto (i) i provvedimenti di enforcement non possono introdurre un obbligo di sorveglianza attiva di tutti i contenuti caricati dagli utenti in capo ai provider, da cui gli stessi sono espressamente esentati ai sensi dell’art. 15 della Direttiva (ii) i provvedimenti di enforcement devono predisporre una tutela equa, proporzionata all’offesa e non eccessivamente costosa – ai sensi dell’art. 3 della Direttiva enforcement (iii) il provvedimento ingiuntivo non può creare ostacoli al commercio legittimo e, nel caso di specie, una misura che obbligasse e-Bay a monitorare e impedire vendite “in contraffazione” in via preventiva potrebbe portare all’ effetto concreto di un divieto generale di messa in vendita (anche di prodotti non contraffattòri). Pertanto, dalle motivazioni della Corte pare di comprendere che, pur essendo pacifico che gli intermediari possono essere destinatari di provvedimenti ingiuntivi, il contenuto della tutela giurisdizionale accordata al titolare dei diritti di IP non possa consistere in una ingiunzione che, inibendo la prosecuzione dell’illecito, comporti l’obbligo per il provider di vigilare su e impedire violazioni future. Sembrerebbe dunque confermata la criticità dei provvedimenti già adottati dal Tribunale di Roma nei casi You Tube e Yahoo. La Corte ha però precisato che il contenuto di un provvedimento ingiuntivo destinato a un internet service provider a seguito di un episodio di violazione – e tipicamente al gestore di un mercato online quale è e-Bay – potrebbe comportare “l’obbligo di adottare misure che consentano di agevolare l’identificazione dei suoi clienti venditori”, al fine di prevenire nuove violazioni della stessa natura di quelle già contestate. Ci sarà ancora molto da commentare sul punto (e su questa sentenza in particolare).